domenica 6 gennaio 2013

Il dilemma del prigioniero sportivo

Il dilemma del prigioniero sportivo

Ho riaperto la bottega proprio oggi, per il giorno dell'Epifania. In effetti non è stata una grande idea. Nel negozio non è venuto quasi nessuno. Forse avrei dovuto quanto meno ricordarmi di scrivere fuori che avrei riaperto oggi. Pensavo di fare al mondo una sorpresa gradita. Vabbeh. Ho passato la giornata ascoltando un po' di sana radio, che per fortuna ancora non è degenerata come la tv. Stavano parlando degli eventi sportivi del 2012: dagli europei, al campionato impeccabile della Juventus per poi passare al ciclismo e alla clamorosa revoca delle 7 vittorie al tour de France di Lance Armstrong. Proprio su questa notizia, un cliente che non avevo mai visto, commenta laconico: "Beh, con lo stesso criterio dovrebbero togliere gli ultimi titoli a tutti i vincitori, più o meno dal '90 ad oggi!". Non posso credere che tutti i ciclisti che hanno vinto gare importanti si siano dopati. Lo pensai prima tra me e me poi espressi al nuovo arrivato il mio pensiero. Lui, con un'aria tanto triste quanto consapevole di quello che stava per dire, continuò così: "La matematica ha fatto troppi passi da gigante in questi ultimi anni per tenersi lontano dal mondo dello sport. Il problema è che i due mondi si sono avvicinati dalla parte sbagliata: la parte sana e nuova della matematica- la Teoria de Giochi intendo!- con la parte malata dello sport- il Doping... come si stava dicendo."
La risposta mi ha spiazzato ancora di più della prima affermazione. Gli chiesi allora di farmi comprendere meglio quello che stesse dicendo. Ma con parole elementari anche per un povero parrucchiere!
"E' semplice caro mio e se ha cinque minuti posso provare a spiegarglielo". Persa per persa la giornata, lo assecondai. D'altronde non potevo mica mandare via l'unico cliente di oggi. 


"Per un ciclista non esiste vicissitudine più demoralizzante che essere superato da un avversario su una salita. Allo stremo delle forze sa che deve rimanere in contatto coi primi, altrimenti la sua motivazione svanirà insieme alla sua speranza di vittoria. Ma un ciclista, che si allena con costanza, riuscirà a migliorarsi fino a un certo limite. Un limite "genetico" e non può farci nulla. O meglio, nulla di eticamente encomiabile. Se tale ciclista pratica questo sport per passione, allora sarà soddisfatto una volta raggiunto il suo limite. Ma se questo atleta fosse un professionista? Il problema diventa più spinoso: supponiamo- per assurdo!- che la squadra di questo ciclista avesse nel "programma medico" alcune sostanze per migliorare le prestazioni e che tale ciclista sarebbe stato tagliato fuori qualora non fosse risultato competitivo. Supponiamo infine che tale ciclista fosse stato certo che tutti i suoi avversari facessero uso di doping e che i controlli fossero quasi sempre inefficaci".
Il dilemma etico cominciava ad essere chiaro, la precedente insinuazione con la matematica rimaneva ancora molto molto fumosa. "Cosa c'entra in tutto questo la matematica? La teoria dei giochi a cui accennavi prima?"
"Te lo spiego subito. La teoria dei giochi si occupa delle strategie che permettono, all'interno di un gioco con regole ben precise, a un competitore di massimizzare la propria vincita o minimizzare la propria perdita. L'esempio più famoso è il dilemma del prigioniero. Tu e il tuo complice (supponiamo il barbiere che sta dall'altra parte della strada) siete stati arrestati per un certo reato e venite tenuti in isolamento in celle separate. L'accordo iniziale tra voi era di non parlare. Gli investigatori presentano a entrambi le seguenti alternative:
  1. Se tu confessi e l'altro prigioniero non confessa, tu sei libero e l'altro prende 3 anni di galera.
  2. Se l'altro prigioniero confessa e tu non parli tu prendi 3 anni di prigione e lui è libero.
  3. Se entrambi confessate, vi prendete due anni ciascuno.
  4. Se entrambi non parlate, vi prendete un anno a testa.
La scelta più conveniente è ovviamente tradire l'accordo iniziale. Il perché è presto detto. Supponiamo che l'altro scelga di non parlare: allora confessando tu sei libero; se rimani in silenzio ti fai un anno di prigione. Supponendo invece che l'altro "canti": se tu confessi ti prendi due anni di prigione che sono comunque meglio dei tre che ti spetterebbero scegliendo di rispettare l'accordo."
"E' un po' da infami- constato- ma non sembra fare una piega questo ragionamento. Ma cosa c'entra con il ciclismo?"
"Nel ciclismo, come in altri sport, gli atleti competono seguendo un complesso di regole. Una di queste è appunto il divieto di assumere sostanze che migliorino le prestazioni. Tuttavia la grande efficacia di queste sostanze unita alle difficoltà da parte dell'antidoping di individuarle hanno incentivato questa pericolosa pratica. Una volta che alcuni tra i migliori ciclisti si dopano, ottenendo un vantaggio, anche i loro avversari sono costretti a fare lo stesso, causando un effetto domino che si propaga a tutti i ciclisti professionisti (e non). L'abuso collettivo di sostanze illecite ha quindi innescato in maniera naturale una strategia di omertà che ha impedito di tornare al rispetto delle regole.

Molti atleti, anche all'epoca d'oro di Coppi e Bartali, prendevano stimolanti e antidolorifici, ma i regolamenti antidoping sono stati inesistenti fino a quando Tom Simpson nel 1967 morì per un'overdose di anfetamine durante la scalata del Mont Ventoux. Anche dopo questo tragico evento, tutto sommato, i controlli sono stati sporadici e pochi consideravano il fenomeno doping come qualcosa di antisportivo. Poi negli anni '90- come ti dicevo all'inizio- qualcosa è cambiato. Quel qualcosa si chiama "eritropoietina ricombinante ingegnerizzata geneticamente". In una sola parola r-EPO. Questa sostanza che stimola la produzione di globuli rossi è stata accolta come una benedizione dai malati cronici di anemia... e dagli atleti professionisti. Assumere tale sostanza ha la stessa efficacia di una trasfusione con la differenza che invece di dover trasportare grosse sacche di sangue e lunghi aghi, tale sostanza può essere conservata in piccole ampolle dentro un semplice thermos. I vantaggi di chi assume questa sostanza sono evidenti: le prestazioni di un atleta aumentano dal 5% al 20%. E' chiaro che se un ciclista forte comincia a prendere tali sostanze, nessun avversario può permettersi il lusso di lasciargli tale margine di vantaggio. E' per questa ragione che, come nel dilemma del prigioniero, la strategia che permette di ottenere maggiori benefici è quella del tradimento, quella del doping."
Cominciavo a vedere il filo conduttore di questo discorso in un primo tempo strampalato.
"Nella teoria dei giochi, una situazione in cui nessun giocatore ha qualcosa da guadagnare cambiando unilateralmente la propria strategia è definita Equilibrio di Nash. Per uscire dalla voragine del doping bisognerebbe ristrutturare il "gioco" del ciclismo in modo tale che la competizione pulita sia un equilibrio di Nash. Gli organi di controllo dovrebbero cambiare i valori delle ricompense e delle punizioni (in termini tecnici i payoff). Quando gli avversari rispettano le regole, il payoff per un comportamento corretto deve essere maggiore rispetto a quello che si ottiene ricorrendo al doping. E anche quando gli altri giocatori fanno ricorso a strategie non lecite, il payoff che si ottiene rispettando le regole deve essere maggiore di quello che si ottiene seguendo la massa degli avversari. I ciclisti non devono vedere come un svantaggio seguire le regole.
Nel caso del dilemma del prigioniero, abbassare il payoff della confessione e aumentare il patoff del silenzio nel caso l'altro prigioniero confessi aumenta la cooperazione. Ma la maniera migliore per aumentare la cooperazione è permettergli di comunicare prima di iniziare il gioco. Nel ciclismo questo significherebbe rompere il muro di gomma dell'omertà."
Però... bell'applicazione della teoria dei giochi al ciclismo. Affascinato dai modi e dai discorsi di questo signore mi sono permesso di chiedergli il nome.
"Sono Michele Shermer e più di 20 anni fai mi posi la questione se diventare un ciclista professionista o continuare la carriera all'interno dell'università. Analizzata brevemente la situazione il payoff di quest'ultima scelta mi è sembrato decisamente maggiore: 30 anni dopo sono un professionista della matematica e godo di ottima salute!"
"Bene, non mi sembra poco. Allora, si vuole accomodare? Che taglio facciamo?"
"Taglio? Ah no... ero venuto a chiederle se mi cambiava 5 euro. Mi servono le monete per la lavanderia automatica qui dietro l'angolo"
Beh sono stato aperto tutto il giorno. In un giorno festivo per di più. Qual è stato il mio payoff? Niente o quasi. Rifletterò su quel quasi.




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